Lost & Found Podcast | S. 01 Ep. 03
Il mondo dell’adolescenza sbattuto in faccia al bigottismo conservatore, americano e non, con un piglio realistico, crudo, senza filtro. Questo bisogna dire per interpretare Il Giardino Delle Vergini Suicide, primo episodio della non dichiarata “trilogia dell’adolescenza inquieta” di Sofia Coppola.
Siamo in un Michigan che sembra già martoriato dalla crisi quarant’anni prima che arrivi. Siamo negli anni ’70, ma non ci sono le rivoluzioni e i figli dei fiori del tempo. Solo la vita di una normale cittadina modello isolati-e-casette-con-prato-annesso. E il vissuto, anche interiore, di quella fase di passaggio impossibile da marcare tra adolescenza e post-adolescenza. Tra amici, amori, scuola.
Sofia Coppola, figlia del grande Francis Ford Coppola e famosa per alcune a dire il vero discutibili parti recitate ne “Il Padrino”, ci mette tutta la sua cruda sensibilità e il suo personale punto di vista nel raccontare uno dei periodi più enigmatici dell’esistenza umana. Dimostrando di possedere, senza alcun dubbio, un occhio che vive e non solo che vede.
A dispetto delle cinque sorelle Lisbon, centrali nel film dall’inizio alla fine, il ruolo da protagonista è occupato dalla narrazione, dai ragazzi del quartiere. Sono i loro occhi e le loro emozioni a raccontarci la vita circostante e la tragedia suicida che coinvolge Cecilia e in seguito, in un Beatlesiano Helter Skelter, tutte le sorelle.
Trip Fontaine è l’illusione romantica del salvatore, il magnifico personaggio che appare, conquista ma poi scompare dal film. Crudi e reali fino in fondo abbiamo detto. La sua storia si incrocia con quella di Lux, la penultima delle sorelle, dando vita ad uno splendido esempio degli amori fugaci caratteristici e caratterizzanti quel periodo della vita a cui dare un nome, o una classificazione, è del tutto superfluo.
La scena della festa di fine anno rappresenta tutta la malinconia che si prova nei confronti del periodo dell’high-school, di cui nessuno sa e comprende nulla salvo che non lo stia vivendo in prima persona. E nel rappresentare il momento dell’abbandono descrive con una forza immensa, quasi violenta il potere controverso dell’amore. Per dirla con Wilde, le rughe che appaiono nel quadro in soffitta.
La critica al bigottismo e al rapporto figli-genitori è fin troppo chiara, evidente ed esaustiva, ammesso che lo possa mai essere. Più sottile e interessante risulta invece, considerato soprattutto il periodo storico, la rappresentazione dei mass-media. I giornalisti e la televisione in generale sono dipinti con un verosimile spaccato sulla spettacolarizzazione della morte, argomento costantemente attuale.
Gli Air costruiscono un capolavoro di colonna sonora con titoli come Highschool Lover e Playground Love, che sono semplicemente l’essenza del film fatto musica. L’emozione, il sentimento, ma anche l’ignoto e la paura. Verso la rottura con un periodo da cui bisogna uscire, oppure no. Verso la fine.